La scuola del Filet di Lucciano (Quarrata) un esempio di solidarietà che ci viene dal passato
Non conosco la storia della società quarratina e curiosando in biblioteca alla ricerca di qualcosa di interessante mi sono imbattuta in una bella testimonianza, che probabilmente i quarratini “doc” già conoscono molto bene e che riguarda una conquista importante da parte di donne semplici, perciò ne scrivo volentieri qui.
Una possibilità di riscatto per le donne di Quarrata di inizio novecento
Parto da lontano, ma neanche poi tanto perché si parla degli inizi del secolo scorso.
Una donna lungimirante, la persona di cui parlo, sente il bisogno di aiutare chi si trova, per nascita, in condizioni meno fortunate delle sue. Viene da una famiglia signorile ma non è abituata ad esercitare il distacco dalle persone disagiate che vivono e lavorano nelle campagne e considera la cultura, l’imparare, fino allora appannaggio esclusivo del ceto nobiliare, un qualcosa di utile per tutti e una forma di riscatto soprattutto per le donne.
Cosa ha a che fare tutto questo con le donne di Lucciano, frazione di Quarrata?
Le donne che vivevano nella tenuta acquistata a Lucciano dalla famiglia Spalletti ebbero la fortuna di conoscere la contessa Gabriella, una persona di valore e con un forte senso civico. Dichiarava, la contessa, di ispirarsi soprattutto ai valori del vangelo.
La signora Gabriella riesce ad organizzare qualcosa di unico per le donne di Lucciano e successivamente per quelle di tutto il comune di Quarrata che hanno la fortuna di beneficiare del suo spirito solidale. Dopo aver letto di come concretizza per le spose dei mezzadri che lavorano in terreni non loro una possibilità di migliorare la condizione di vita e quella delle loro famiglie la ritengo soprattutto una donna con un grande bisogno di giustizia.
Questa la situazione in cui si trova ad operare la contessa, come racconta Don Giuliano Mazzei:
“La condizione della donna era ancora più umile e disgraziata. La sposa, oltre a badare alla numerosa famiglia, qualche volta doveva andare anche nei campi per le faccende più urgenti e più materiali, lasciando i figlioli piccini in custodia a quelli più grandicelli e la sera il più delle volte stanca morta, tra il frignare dei bambini che avevano sonno, doveva sopportare anche gli urlacci del marito mezzo avvinazzato e grazia di Dio se erano urlacci soltanto…” Don Giuliano Mazzei – Parroco di Lucciano
Come descritto dal Priore (A.S.C.Q. Appunti inediti di Don Giuliano Mazzei):
queste spose quando hanno un momento di libertà fanno la treccia o cuciono un cappello, mormorando, sedute insieme alle ragazze e alle comari. Guadagnano pochi spiccioli con il malretribuito lavoro della paglia e ci comprano cianfrusaglie per la casa. Le ragazze invece mettono insieme i pochi guadagni delle lunghe veglie per qualche vestito e un po’ di biancheria.
La “Scuola di ricamo e di merletti” per il riscatto delle donne di Lucciano
La contessa Gabriella, colpita dalle condizioni umilianti in cui versano le famiglie di Lucciano e del Comune quarratino, specie le donne, decide di riordinare le cognizioni che ha sul ricamo a filet e di fare qualcosa: fonda una “Scuola di ricamo e di merletti” provvedendo personalmente a tutto il materiale necessario e retribuendo di tasca propria il lavoro eseguito senza trarne alcun guadagno. Lo fa perché crede nel valore del lavoro delle donne e crede nel contributo concreto che possono dare al miglioramento della comunità.
La scuola in due anni raggiunge il numero di 50 allieve.
Ma non finisce qui perché nel 1903, dopo una piccola indagine di mercato, la contessa trova una ditta disposta ad acquistare tutto il lavoro fatto: la Navone di Firenze, che da allora in poi fornisce filo e disegni, in anticipo.
Nel tempo il numero delle ricamatrici sale fino a 400. Il prestigio della scuola diviene famoso anche oltreoceano e talmente si distingue per varietà e finezza che non si riesce a far fronte alle richieste che arrivano dall’America. La scuola così cresciuta necessita di altre maestre e direttrici e si costituisce in forma legale come scuola “a carattere cooperativo e di mutuo soccorso” sempre per volontà della nobildonna.
Il desiderio e il fine di perseguire una giustizia sociale la contessa Gabriella li esprime nel suo lavoro e li conferma anche nello stile trasparente e paritario che dà alle assemblee della scuola, quando si espone il rendimento degli affari, quando si presentano le nuove arrivate e si permette a tutti di parlare. Ogni argomento è concesso.
Non solo una “scuola di ricamo”…
Si parla non solo del ricamo ma della condizione femminile e famigliare perché la finalità della scuola è dare un sostegno morale prima ancora di quello economico.
Sostegno in parte ostacolato da alcuni socialisti del tempo che non vedevano bene la donna Ravennate. La loro polemica, quasi subito messa a tacere, parte dal pretesto che la donna avesse prelevato dal fondo della società merletti una ingente somma per donarla a favore delle spese di una guerra inutile. Chi polemizza non manca di accusare don Mazzei di difendere a torto una donna che fa politica. In realtà già a partire dal primo congresso del 1908, da presidente del Consiglio Nazionale delle Donne italiane, la contessa Spalletti sostiene fortemente i valori della pace. Nel 1914 rivolge un appello a tutti, perché contribuiscano ad aiutare la Patria e promuove corsi per infermiere, corsi di cucina e assistenza ai bambini dei richiamati alle armi. Non le interessa la politica. E’ un donna pragmatica più che femminista… e non era lei la causa della guerra.
Quello che mi ha colpito di questa storia è che una persona agiata si esponga in difesa di donne semplici e riconosca loro una dignità di lavoratrici retribuite. Ciò che preoccupa la nobildonna non è solo il presente: non vuole solo offrire un lavoro ma garantire contributi e previdenza sociale. Sbalorditivo se si pensa che siamo all’inizio del secolo scorso!
La contessa considera le ricamatrici in primo luogo come persone con dei valori e delle capacità da sviluppare ed è questo il proposito che la guiderà sempre nel portare avanti il suo innovativo progetto umanitario. Crede nelle possibilità di cambiamento di una società da migliorare e le promuove mentre dà un nuovo significato al lavoro. Lavoro come realizzazione di sé. Ogni allieva dimostra di essere capace di autonomia, di sviluppare la propria intelligenza imparando e di elevarsi come individuo, di scoprire le proprie potenzialità ed un senso di autoefficacia.
Il suo pensiero stimola nelle allieve e nelle ricamatrici una coscienza sociale prima come donne e poi come lavoratrici ma secondo me è fuorviante considerarla una femminista. Gabriella, come si faceva chiamare da chi la conosceva, vive la società ed i suoi problemi e capisce che riconoscere il diritto alla vecchiaia, all’assistenza, ad una dignità, è semplicemente necessario. Ad oggi, possiamo dirlo, non sono diritti affermati…casomai affievoliti.
Ed alla fine, lasciatemi dire anche questo: non ci sono più i preti di una volta e la Chiesa di allora, forse perché in tempi di guerra o di povertà era così, si dimostrava molto più aperta, accogliente e comprensiva di com’è oggi, almeno a Lucciano.
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